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Martire da vivo

Nel trentesimo anniversario della morte di Oscar Romero

di Michele Giustiniano

OscarRomero

<<Possa questo sacrificio dare a noi il coraggio di offrire il nostro corpo per la giustizia e la pace>>. Aveva da poco pronunciato queste parole Monsignor Oscar Romero, quando alzò il calice verso il cielo. D’improvviso gli spari ruppero il silenzio del misterium fidei, durante la celebrazione eucaristica del 24 marzo 1980, a San Salvador. Alcuni istanti dopo, il corpo del vescovo giaceva in una pozza di sangue <<ai piedi dell’altare, come su una patena di marmo>>. In un editoriale di quei giorni, pubblicato sulle colonne del settimanale francescano Luce Serafica, Padre Guido Giustiniano definì quell’assassinio una “offerta nell’offerta”: <<il Sangue di Cristo per la salvezza degli uomini, il sangue degli uomini per la giustizia e la pace. Nel Sacrificio i sacrifici, nell’Offerta le offerte per la redenzione completa dell’uomo. Per la liberazione di ogni uomo dal male e dai mali (…) I poveri, gli oppressi, gli emarginati avevano, ora, la loro offerta da presentare a Dio. Un corpo senza vita, divenuto ragione della loro vita>>.

Prima che assumesse prevalentemente il significato di “chi sacrifica la vita, pur di non rinunciare alla propria fede”, il termine “martire” in greco indicava “chi rende testimonianza”. Proprio per questo, Oscar Romero si impone alla storia come una gigantesca figura di martire. Martire, dunque, non solo perché assassinato. Martire, ancor prima di morire, perché testimone autentico di Cristo. Martire perché con le sue battaglie in favore degli ultimi ha reso testimonianza a Colui che degli ultimi è l’unico vero liberatore. Martire perché come Lui non ha esitato ad alzare la voce contro gli scribi e i farisei del suo tempo. Martire perché come Lui non ha risparmiato il proprio sangue. Martire fin da vivo. Nella morte, ancor più simile a Cristo.

Il ricordo di Monsignor Romero si carica di emozioni particolari nel trentesimo anniversario del suo assassinio, che quest’anno è caduto proprio a ridosso della Pasqua. Per una suggestiva combinazione, il Vangelo proclamato da Romero nella sua ultima messa parlava di morte e risurrezione: <<Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto>> (Giovanni 12, 24).

A tutti voi, affezionati lettori, cristiani e non, credenti e non credenti, rivolgo l’invito a gustare il frutto della testimonianza di Monsignor Romero. Frutto sublime di una pianta innaffiata col sangue. Frutto della sola pianta che dona la vita.

A Voi tutti Buona Pasqua.

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