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Napoli e l’onore al maschile (2^ parte)

Almeno a giudicare dall’impaginazione della voce “Onore”, Wikipedia pensa che esso sia un sentimento, nel trattare il quale si occupa, nell’ordine, dell’onore come regola comportamentale, dell’onore perduto, dell’onore delle donne, dell’onore come riconoscimento, del cursus honorum, dei rapporti tra onore e legge e così via. Purtroppo nulla si dice nel capitolo che tutti gli altri comprende, l’ “Evoluzione del sentimento dell’onore” e neppure accenna ad una definizione purchessia del termine “sentimento”, su cui sarà forse il caso di ritornare quanto prima a causa dell’importanza che riveste nella Napolisofia. Prima di tutto, dunque,  per Wikipedia l’onore sembra essere una “regola comportamentale”:

“in passato l’onore figurava abbondantemente come un principio guida della società, in tutti i suoi strati ad eccezione del più basso{{1}}, funzionando come parte fondante del codice d’onore per un gentiluomo e trovando talvolta un’espressione concreta nella pratica del duello.”

Ne abbiamo visto un esempio alla napoletana in PUPATELLA e oggi ne vedremo un altro, ancora più esplicito. Il passaggio prosegue:

“L’onore di un uomo, quello di sua moglie, quello della sua famiglia o quello della sua amata costituivano una questione importante in ogni sfaccettatura: l’archetipo dell’”Uomo d’Onore” (nel suo significato originario) restava sempre in guardia contro insulti, effettivi o solo sospettati .”

 

Sembrerebbe superfluo aggiungere che, sentimento o codice o quel che è, l’onore è un concetto relativo, di cui si è empiricamente constatato il mutare con il tempo e il luogo. Ma Wikipedia ritiene opportuno precisare, nel paragrafo “L’onore perduto”, che

“il concetto di onore sembra aver perso di importanza nel moderno Occidente secolare. Gli stereotipi popolari vogliono che esso sopravviva in culture mediterranee dal presunto “sangue caldo” (italiani, spagnoli, arabi …) o in società più da “gentiluomini” (come il “Vecchio Sud” degli Stati Uniti). Le società feudali, o altre società agrarie, focalizzate sull’uso e la proprietà della terra, possono tendere ad… onorare l’ onore, più di quanto facciano le società industriali prive di radici. Oltre alle radici sono spesso situazioni di relativa chiusura degli ambienti di riferimento (di ridotte proporzioni, tipicamente, nel caso delle società rurali) a rendere l’onore un valore accessorio della vita nella comunità, essendo più intensa, più longeva e più frequente la relazione sociale fra gli stessi appartenenti al gruppo. Tracce dell’importanza connessa all’onore sopravvivono nell’ambiente militare, e in organizzazioni che ne riecheggiano lo stile, come ad esempio gli Scout”.

Un particolare aspetto dell’onore è quello riservato alle sole donne: nella scorsa puntato abbiamo visto nella canzone ’E PPENTITE a quale prezzo esorbitante una ragazza innamorata poteva pagare l’onore perduto. Secondo Wikipedia nel caso delle donne

“il concetto di “onore” storicamente è spesso legato alla sessualità: la conservazione dell’onore presso le culture mediterranee corrispondeva principalmente alla conservazione della verginità o al mantenimento di una monogamia esclusiva. La violazione dell’onore di una giovinetta non maritata – in pratica la sua deflorazione non autorizzata da pubblico vincolo matrimoniale – richiedeva riparazione; se l’offensore non avesse voluto o potuto (ad esempio perché già sposato) addivenire a un matrimonio riparatore, lo si sarebbe punito con forme di ritorsione violenta, sino all’uccisione, da parte dei titolari dell’onore della sventurata (in genere i familiari maschi).”

Bella espressione, “i titolari” maschi: non solo il marito o il fidanzato, quindi, ma anche il padre e/o i fratelli, come vedremo tra poco in una delle canzoni che ho scelto per oggi. Tralascio perché non pertinenti al discorso attuale “l’onore come riconoscimento”, “gli onori feudali”, “l’onore di patria” e “il cursus honorum”, mentre ritengo al contrario molto pertinenti da un lato “Onore e legge” e “Il delitto d’onore” e dall’altro “Onore e antropologia”. Per il primo caso Wikipedia dice:

“stante la comune valenza di norma comportamentale{{2}} da applicarsi nell’ambito sociale di riferimento, è ben possibile confrontare le culture dell’onore con le culture della legge.”

Tutto qui. Quello che segue è il discorso sul “delitto d’onore” che abbiamo già (parzialmente) esaminato l’altra volta. Che cosa esattamente significhi “confrontare le culture dell’onore con le culture della legge” onestamente mi sfugge. Vorrei qualche esempio concreto, perché è mia convinzione che anche le “culture dell’onore” siano mosse da leggi, magari non scritte ma aventi “valenza di norma comportamentale”. E viceversa.

Vediamo se le cose vanno meglio nel secondo caso, cioè nel paragrafo dedicato agli aspetti antropologici dell’

“onore come sinonimo della prevaricazione, nella visione degli antropologi statunitensi (…)

L’assimilazione concettuale nasce dall’osservazione precipua del presunto onore mafioso e non contempla affatto la storia europea del concetto (…) cosicché, in tali ambienti di studio, l’onore socialmente accettabile, ed anzi meritorio, scompare senza lasciare traccia dinanzi al deviato  onore delle consorterie criminali.”

Nell’analizzare l’origine di tale accezione, gli antropologi made in USA sembrano ritrovarla

“tra le genti nomadi e tra quelle dedite alla pastorizia, che portano con sé le loro proprietà più preziose e rischiano di vedersele sottratte, senza poter fare ricorso all’applicazione della legge o al governo. In questa situazione (…) ispirare timore costituisce una strategia migliore del promuovere l’amicizia e coltivare una reputazione di vendetta rapida e sproporzionata aumenta la sicurezza della persona e della proprietà”.

Plausibile e forse anche applicabile, in parte, alla ricerca sull’onore “al maschile” nella canzone napoletana, con una premessa. Antropologicamente parlando è abbastanza evidente che il ricorso al duello, alla vendetta, perfino al delitto compiuti in nome dell’onore trova comprensione (non giustificazione) quando le leggi e la pubblica giustizia latitano e che poco o nulla ha a che vedere con crimini analoghi collegati alla sola gelosia. Vediamo qualche esempio musicale, nella speranza di trovare conferma a quanto detto.

In PAPELE O MARENARO, di Pisano – Buongiovanni, che propongo nell’interpretazione di Mario Merola

http://www.youtube.com/watch?v=XoT0KwzB77A

la situazione è tipica:

Signurí, serv’ô ‘ccellenza:

si vuje site nu signore,

io vulesse avé ll’onore

‘e ve dicere chi so’:

So’ Papele ‘o marenaro,

o marito ‘e Carmenella,

chella tala Lucianella

ca v’ha fatto sfrennesia’.

Ve voglio fa assapé ch’ ‘a voglio bene,

ca ce simmo spusate pe’ passione…

e mme levasse ‘o sango ‘a dint’ ‘e vvene

pe’ nun lle fa’ manca’ nu muorzo ‘e pane.

Vuje, cu ‘e rricchezze voste,

cercate ‘e v’ ‘a pigliá.

Ma avete fatto i conti senza l’oste

e ll’oste, signurino mio, sta ccà!

Sembrerebbe pura e semplice gelosia, non è vero? Ma la seconda strofa chiarisce meglio come realmente stanno le cose.

Stammatina, ‘e ssette e meza,

stevo già a Santa Lucia,

arrischianno ‘a vita mia

‘mmiez’ ô mare a fatica’.

Stammatina, a casa mia,

addó ce sta scritto: “Onore”,

è sagliuto nu signore

cu nu fascio ‘e rose thè.

A chi ‘e vvuleva da’ll’immaginate,

però se ll’ha purtate n’ata vota…

Io, ca nun songo ricco e so’ alfabeto,

si ‘o trovo ll’aggi’ ‘a dí: “Vuje nun servite!

Mogliema Carmenella

nun diciarrà maje sì.

E’ onesta. E si tenite na sorella,

‘o stesso fascio ‘e rose ce ‘o port’i’!

Siamo al dunque: sulla porta di casa Pepele ha scritto la password magica. Solo chi la conosce può entrare: il signorino ha sbagliato parola d’ordine e su di lui si abbatte la sacrosanta collera del Custode dell’Onore. Innanzi tutto la ritorsione nei confronti della – ipotetica – donna di cui il corteggiatore sgradito di Carmenella potrebbe essere il “legittimo titolare”: una vendetta fiorita ma dal significato quanto mai eloquente, che prelude a soluzioni più definitive se la storia non dovesse finire:

Ma ched è, v’amariggiate?

Stu trascurzo nun ve piace?

Vuje v’avit”a fa’ capace

ca ‘sta storia ha da ferní…

Si ve ‘ncoccio n’ata vota

ca passate pe’ ‘sta via,

giuro, privo ‘e mamma mia,

nun ve faccio passa’ cchiù!

Ca state armato, nun mme fa paura:

tengo nu vraccio ‘e fierro e ‘o core ‘acciaro!

Io, quanno veco ‘a morte, ‘a guardo e riro

e levo ‘a vita a chi mme leva ‘ammore

Ll’onore mio mm’è caro:

nun mm”o levá. Pecché

si mm’arricordo ca so’ marenaro

te porto ‘nfunn’ô mare ‘nziem’a me!

Infine, tutto si compie e svela: ammore e onore sono intrecciati, quasi si identificano, viaggiano sullo stesso binario. Al capolinea ci può essere la scelta estrema, la morte, preferibile per Papele all’essere deprivato di ciò che rende la sua dura vita degna di continuare. Sì, perché sotto sotto serpeggia in questa canzone tutta una filosofia, semplice ma completa, che ritroviamo in un pezzo altrettanto importante per il nostro punto di vista, ‘O SCHIAFFO (Vento – Albano), da ascoltare nell’interpretazione di Nino Delli

http://www.youtube.com/watch?v=7eEIciQtWJ8

e da vedere, anche, in quella davvero significativa di Antonio Buonomo    http://www.youtube.com/watch?v=gY6sPQBpBp8

Nun ve mettite ‘ncerimonie, grazie,
ca nun è ora ‘e farce cumplimente.
Anze ve prego molto gentilmente,
susiteve, pecché v’aggi’ ‘a parlà.

Amice, permettete,
no, nun v’incomodate,
ca nun succede chello ca penzate,
io ll’amicizia ‘a saccio rispetta’.
Però mme piglio collera
quanno qualcuno, falsa, ‘a vo’ tratta’.

V’ ‘o vvoglio dì pe’ vostra norma e regola,
ajeressera îte sbagliato assaje.
Na curtellata si’, ma schiaffe maje,
penzatelo nu schiaffo che vo’ dì.
‘Ngiulina nun è chella
ca vuje ve ‘mmagginate,
‘e schiaffe date a essa, a chi aspettate
ca nun ‘e rripetite pure a me?
Facite scuorno a ll’uommene,
tutto pe’ tutto, ll’arma aggi’ ‘a vede’.

La vicenda è sicuramente diversa: mentre Carmenella è stata insidiata sessualmente, ‘Ngiulina è stata malmenata, ingiustamente o no non ci è dato sapere dal testo. In ogni caso il Custode si sente minacciato nella propria onore, ossia, a ben vedere, nella propria identità di maschio. Si può presumere che il duello rusticano sia davvero avvenuto, a giudicare dalla terza e ultima strofa:

E sissignore, brigadie’, purtateme
‘ncopp’ ‘a Quistura, ô carcere, ‘ngalera.
Chi dice niente? Ma cu cchiù maniera.
Ll’aggio ferito?  ‘O ssaccio. Comme? Chi?
Nun è ferito? E’ muorto?
Mme state cunzulanno,
ll’ uommene ‘e niente chesta fine fanno.
Mo niente cchiù desidero, pecché
tenevo ccá nu písemo
e mo mm’ ‘aggio levato, Brigadie’.

Insomma l’onore macchiato si può lavare solo con il sangue: sembra un obbligo, di più, una necessità, per coloro che non vogliono essere uommene ‘e niente. Cavallerescamente, l’offeso dà al rivale la possibilità di difendersi, anche perché così il duello si trasforma in una specie di sacra ordalia, un giudizio divino in cui si postula che una volontà superiore farà infallibilmente vincere chi ha ragione.

Se qui la gelosia non sembra aver avuto parte alcuna nello svolgimento del dramma, nel prossimo pezzo, O MEGLIO AMICO (Bovio – Albano), che suggerisco ovviamente nella versione di Merola

http://www.youtube.com/watch?v=Sd8sxx-MZtE

mi sembra l’elemento centrale:

Ll’amico mio si’ tu. Comme te pare?
‘O tengo n’ato amico meglio ‘e te?
‘O stesso banco â primma elementare…
nce vulevamo bene comm’a che.
Tu sempe ‘nzisto, io sempe cchiù abbunato,
mme suppurtavo ‘a te cchiù ‘e na pazzía.
Nun te ricuorde? Mme chiammave frato
ma t’arrubbave ‘a marennella mia.

Che fa? Che fa?
So’ cose ca succedono,
cu chi ta vuo’ piglia’?
Dammoce ‘a mano:
‘o bbi’ ca so’ semp’io…
e tu si’ sempe ‘o meglio amico mio.

‘A zia nun te vuleva dinta casa,
ma i’ cumbattevo pe’ te fa’veni’.
“Oje ninno mio, chillo t’abbraccia e vasa,
ma tene ll’uocchie ‘e chi te vo’ tradi’”.
Quanno, cinch’anne fa, stive malato,
vicin’ô lietto tujo stevo sul’io,
ma, dint’ ‘a freve, miezo frasturnato,
te stupetiaste ‘o portafoglio mio.

Che fa?…

Ll’amico mio si’ tu. guardame ‘nfaccia.
Guardame buono ‘nfaccia e nun tremma’.
Ancora mme vuo’ stregnere ‘int’ ‘e bbraccia?
Tiene ancora ‘o curaggio ‘e mme vasa’?
Vattenne, marijuolo! ‘O ppuorte scritto
dint’a chist’uocchie ca si’ scellarato.
I’ pe’ vint’anne mme so’ stato zitto,
i’, pe’ vint’anne, t’aggio perdunato!

Che fa? Che fa?
‘Stavota t’aggio cuoveto
e nun mme può arrubba’.
Primma te stenno ‘nterra ‘mmiez’â via
e po’ t’arruobbe ‘a ‘nnammurata mia!

Nessuna delle infamità subite da parte del mariuolo era mai riuscita a scatenare la collera del protagonista, fino a che non è stato invaso l’unico territorio proibito. Anche qui, a ben vedere, oltre all’amore gioca un suo ruolo l’onore, benché sia possibile determinare con precisione percentuali e rapporti. Il binomio – stando almeno alle canzoni – sembra del tutto inscindibile. Possiamo ormai tentare di rispondere ad una delle domande posteci inizialmente: dove sta l’onore maschile, nell’ottica della canzone napoletana classica? Ma nell’onore femminile! Dove, sennò?

Lo studio del posto occupato dalla narratività nella Napolisofia non si esaurisce qui, dato che non tutte le canzoni narrative sviluppano temi connessi all’onore. Ne vedremo molti altri in un prossimo futuro. Ma prima occorre trattare le Canzoni Liriche, un settore a dir poco sterminato in cui avverto un personale bisogno di mettere un poco di ordine classificatorio.


[[1]] Bisognerebbe capire cosa si intende per “più basso”: mi limito a fare presente che, sempre su Wikipedia, si trova: “Onorata Società, organizzazione criminale siciliana di fine ’800 – antico nome con cui veniva chiamata la mafia calabrese nell’800 e all’inizio del ’900 – o in inglese Honoured Society, nome che viene dato dagli australiani a un gruppo criminale della ‘Ndrangheta operante in Australia.[[1]]

[[2]] Penso che a nessuno possa sfuggire l’estrema fumosità di una simile perifrasi definitoria.[[2]]

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