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Quelli che…i pastori non vanno in vacanza

 

Ogni Natale giunge puntuale come un cucù svizzero, un rito impedibile che prende il via in anticipo, un mese prima che nasca il bambinello. Richiama folle di turisti da ogni parte del globo, attira visitatori illustri e comuni, entra nelle case degli italiani filtrata dai teleschermi. E’ l’atmosfera partenopea del presepe, fatta di luci, volti e tradizioni del centro storico, con i suoi decumani e San Gregorio Armeno, vicoli e stradine in cui si fondono il sacro e il profano. Sono Napoli e l’arte presepiale, un binomio inscindibile nell’immaginario collettivo. Sulle bancarelle adorne di tutto punto si alternano sughero e maschere, mistero e fantasia. Le botteghe, a decine, arricchiscono le vetrine di muschio, luci e fontanelle. Asinelli, pecore e buoi negli androni di vecchi palazzi, accompagnano lunghi tavoli di presepi scarni, per tutte le tasche. Non manca nulla, c’è tutto l’occorrente per non farsi trovare impreparati. Eppure troppi sguardi si accontentano del prodotto finito, senza conoscere il “dietro le quinte”. Eppure, in pieno maggio, può capitare di imbattersi in provincia con qualcuno impegnato a cucire il vestito di un pastore, lontano dai luoghi arcinoti del presepe per antonomasia. Ci troviamo ad Ercolano, alle falde dello “Sterminator Vesevo”, in contrada Caprile, terra un tempo battuta da Don Francisco, pastore di caprette vesuviane ormai scomparse. Sono in compagnia di Donato Del Prete, 52 anni, intento a lavorare nel suo laboratorio ben altri tipi di pastori. E’ un uomo dalla semplicità rara che ricorda il suo primo contatto con le statue avvenuto nell’agosto dell’80. Un’attenzione speciale è quella che riserva sin dal principio, una forma di ossequioso rispetto, derivato da una lunga documentazione avvenuta durante la sua prima attività, la pittura. Dalle tele ai pastori, dai dipinti alla creta il passo non è breve. Col tempo, apprende il loro significato, un messaggio originariamente sacro, nato con San Francesco d’Assisi. Cambierà idea e arriverà alla conclusione che il presepe è in realtà profano. Gli artisti che si sono susseguiti nei decenni non si sono limitati difatti alla sola scena del mistero, bensì hanno voluto integrarla col folklore, qualità squisitamente napoletana. La conversazione offre subito piacevoli sorprese. Il pastore, ad esempio, non è napoletano come si penserebbe ma di derivazione spagnola, importato da Ferdinando di Borbone. Inoltre, non nasce come la figura che conosciamo, ma era usato nel ‘700 come manichino per i vestiti realizzati dai sarti. Se a ciò si aggiunge l’originale creatività che connota da sempre la vita dei napoletani – <<siccome o’ napulitane se fa’ sicche ma nun more>> – ecco svelata la vera nascita del presepio. Donato esercita la sua “passione” da 28 anni. “Fatale” si può definire l’incontro con un amico sacerdote che chiese alla moglie, Maria, sarta, di vestire due pastori risalenti al ‘600: un San Giuseppe e una Madonna. Da allora, estasiato da quelle figure, non ha più smesso di documentarsi sull’origine dei ricchi abiti e degli antichi presepi. Inizia la sua attività da autodidatta, studiando illustrazioni, leggendo di passati artisti e di presepi che hanno fatto storia. Con una pazienza certosina, lavora per lungo tempo, fino alle prime figure grezze, facendo lievitare quella vena artistica, quel talento che cercava spazio. Le mani iniziano a plasmare la creta, dandole una forma, una sostanza. Un’anima. <<Il pastore si imita, non si improvvisa>> dice Donato quasi severo, e aggiunge che <<è necessario rispettare rigorosamente i canoni del ‘700>>. Ad un certo punto si avvicina alla Natività presente all’ingresso di casa, una grande opera inserita nella parete, con doppia vetrata che consente due prospettive illuminate:<<l’incarnato più chiaro è tipico delle figure sacre, per distinguerle invece da quelle profane, caratterizzate da un colore più scuro>>. Il presepe, con le sue statue, nasce nel ‘700, un’arte sorta per i nobili e per le Chiese. Allora era impossibile per i poveri avvicinarsi a queste figure. I ricchi, al contrario, godevano delle possibilità economiche al punto che si narra di palazzi e case vendute per possedere i pastori. Oro, argento e pietre preziose rifinivano sia l’abbigliamento che gli accessori rendendoli quasi uno status symbol dell’epoca. Fu così che nacque a Forcella una produzione artigianale, allo scopo di accontentare proprio i ceti più indigenti, desiderosi di possedere nei loro bassi e nelle umili dimore dei quartieri, le figurine sacre in creta. Donato si avvicina ad un’Immacolata risalente all’800, conservata in una grande campana di vetro, caratterizzata proprio da una qualità meno pregiata ma non per questo meno affascinante. Chiedo cosa distingua i pastori pregiati dagli altri. Risponde netto:<< La fattura e la cottura, qualità essenziali che attribuiscono un diverso valore alle opere>>. L’attività è cominciata con il Das, materia da lui stesso indicata come <<inadatta>>, che ha dato vita alle prime figure, più grezze, seguendo la teoria di Leonardo, secondo cui la testa è l’ottava parte del corpo. Dal calco preesistente, quindi, si può modellare la figura. Provando e riprovando, le mani e l’occhio hanno lavorato in simbiosi, scoprendo quella <<passione che ti scorre nel sangue>>, senza la quale non si va da nessuna parte. Sul finire degli anni ’80 realizza le primissime opere che proseguiranno nel corso del decennio successivo. Negli anni’90 consegue ben tre primi posti consecutivi nel concorso bandito dall’associazione “Amici del Presepio”: ogni artista lavorava il presepe in casa, visionato in seguito da una commissione giudicatrice. Alla fine Donato decide di ritirarsi, con molta modestia, auspicando di lasciare più spazio ai giovani e rifiutando coppe, targhe, diplomi. Atteggiamento questo che potrebbe essere scambiato per snobbismo, celando una presunta aria di superiorità. Nulla di tutto ciò. E’ una di quelle persone dalla rara umiltà che preferiscono lavorare in silenzio, con semplicità, al riparo dai riflettori, dedito esclusivamente alle sue creazioni, dall’inizio alla fine. Un episodio, tra i tanti venuti alla mente, rivela quanto sia stata apprezzata la professionalità. Un giorno, l’amico sacerdote Salvatore Zurolo, carmelitano calzato, gli commissiona una Natività, senza conoscerne il destinatario. Alcuni mesi dopo, alcuni amici gli segnalano un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano. La scena emblema della tradizione presepiale era finita in una stanza del Vaticano, omaggio gradito per Papa Giovanni Paolo II. Giornali locali e televisioni dedicarono ampi servizi all’artista ercolanese, che mai avrebbe pensato di creare un’opera per il Papa:<<l’avessi saputo prima non avrei avuto il coraggio neanche di cominciare>>. Il vero exploit giunge tuttavia 5 anni fa, con una chiamata da parte dell’Ente Ville Vesuviane per rappresentare la Regione Campania a Bruxelles. Nel 2002 un suo presepe completo viene ospitato nel cuore dell’Europa. Tantissime le visite che riceverà, soprattutto da parte di numerosissime scuole provenienti dai paesi della Comunità. Apprezzamenti, messaggi in ogni lingua e biglietti da visita di estimatori vengono lasciati accanto all’opera, convincendo l’Ente Ville ad acquistarla ed esporla in mostra permanente presso la vanvitelliana Villa Campolieto, ad Ercolano. Poco dopo, nell’ambito di un gemellaggio tra gli Amici del Presepio e una serie di comuni toscani, un critico d’arte aretino chiede in prestito un suo presepe per inserirlo in una mostra. La campagna pubblicitaria che ne seguì fu tutta improntata ad una gigantografia dei suoi pastori su di un palazzo, fino ad occupare le fiancate degli autobus cittadini. Tante le città toccate che hanno ospitato le sue opere: Milano, Mantova, Firenze e gli appuntamenti nelle città del Miglio d’Oro. Ha partecipato infine ad una mostra sui pastori del ’700 presso la Caserma Marselli a Napoli, riscuotendo un notevole successo di pubblico. Un principio basilare fonda tutta la sua attività, come un faro:<<le cose vanno fatte bene, bisogna darsi e adoperarsi completamente, altrimenti il lavoro svolto non vale nulla>>. Donato ha tentato e cerca tuttora di trasmettere il mestiere appreso da solo. Il pastore richiede però tanta fatica, nottate d’inverno e giornate di attenzioni per i minuziosi abiti che vestiranno i personaggi. Dietro quest’arte asserisce che:<<vi sia un grosso business e più d’uno vi specula>>. Come nasce allora la particolare attrazione per il pastore? Tutto inizia dalla creta che si modella e si cuoce, fino a delineare il personaggio. Una volta raffreddatosi gli monta gli occhi di vetro. Si dipingono rigorosamente ad olio, nel rispetto dell’antico sistema a dispetto di chi, per tempi e costi, preferisce l’acrilico. Un principio che ripete sempre, come una consuetudine non scritta, è quello di imitare il pastore. Aggiunge Donato:<<i presepi moderni, per quanto fantasiosi e originali, non hanno nulla da condividere con la vecchia arte presepiale>>. La fase finale vede il manichino da completare con l’anima in fil di ferro e stoppa. La misura più richiesta arriva ai 40 cm. Si passa poi al passaggio della vestitura che richiede ricercatezza nei tessuti antichi e moderni, nonché una certa accuratezza nella scelta dei colori e delle fantasie. L’opera è quasi pronta. Quasi, perché non possono mancare le rifiniture in metallo, oro o argento. Gli accessori completano l’opera, montati in oro e argento anche con pietre preziose, corallo o brillanti, perle, rubini. Si dice che dietro un grande uomo -licenza di chi scrive- si celi una grande donna. La moglie Maria Maria, <<valida e preziosa collaboratrice>>, è un’esperta sarta che coadiuva il lavoro di Donato. Una modestia da affermare di dover studiare ancora tanto, di non essere ancora <<arrivato>>. E’ lunga la strada da percorrere e da approfondire, troppo complicato il presepe, un unicum di storia, religione, filosofia, folklore e tradizione. La ricerca continua è alla base del suo personale esame che -per dirla alla Eduardo- non finisce mai. Stiamo per congedarci quando estrae dalla libreria un grande libro, mostrando incantato il costume che gli manca, quello più desiderato. <<E’ un personaggio del ‘700, "la procidana". A pensarci bene ci sarebbe anche la calabrese, vestita di tutto punto con nastrini sovrapposti cuciti a mano>>. Forse sarà il suo prossimo obiettivo. E cosi scopriamo che i pastori non conoscono vacanze. Un’arte che <<finisce il 25 dicembre e ricomincia il 26, va avanti tutto l’anno.>>. Si spengono le luci sulle sue creazioni. Donato tornerà a lavorare. Rapito come sempre dal fascino di queste figure, cercherà di perfezionarsi. Anche se forse, è tra i migliori in circolazione. Ma questo lui non lo sa…

 

 

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