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“Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di fleet street ” di Tim Burton

Agli inizi dell’800 a Londra, Sweeney Todd, barbiere ingiustamente accusato, ha passato 15 anni di galera. Ha perso moglie e figlia ed ora ha un solo scopo: la vendetta contro chi l’ha privato della felicità sua e della famiglia. Il film è la messa in pellicola del famoso musical omonimo di Sondheim, a sua volta ispirato ad un reale fatto di cronaca della Londra vittoriana. Già questo tipo di spettacolo canoro e la sfida che esso comporta, tranquillamente accettata dal regista, la dicono lunga sull’estrema flessibilità creativa di questo splendido autore contemporaneo. Egli è in grado di passare dalla narrazione di fantascienza, dal film fantastico per ragazzi, al cartone animato, al fumetto satirico, al grande blockbuster d’azione, mantenendo sempre ben chiaro il suo profilo personale. Escogita, pur rigorosamente all’interno dei meccanismi narrativi che il pubblico si aspetta (horror, fantascienza, cartoni animati, ecc), soluzioni originali, che arricchiscono figurativamente e tematicamente i personaggi e le situazioni. Egli non solo “accetta” le situazioni che shockano il pubblico, ma si diverte e gioca con loro. Porta in queste dimensioni elementi di forte emotività, di trascinante empatia e sofferenza. Qui è costruito un altro devastante percorso di follia. Sweeney è indubbiamente vittima dell’altrui crudeltà. Ma ciò scatena una follia dirompente che ha per oggetto l’intera umanità, anche se essa appare mirata al ristabilimento della giustizia nei confronti di chi gli ha fatto del male. Lui attraversa insensibile, spietato e completamente disanimato la città, anch’egli diventato come i suoi carnefici. Quindi è una follia collettiva, quella che circola in questa immensa metropoli, dove tutte le tinte sono pallide, oscurate. E tutti vivono come oppressi in dimensioni di terrore e di arbitrio. I suoi “piccoli” omicidi non sono niente rispetto a quelli compiuti da coloro che amministrano la giustizia e la usano, come il Giudice Turpin, e il suo sgherro trucido, per i loro sordidi scopi. Ricorda la lezione del chapliniano “Monsieur Verdoux”(47). Ma le varie follie hanno aspetti e caratteristiche complessamente individuali, talvolta misteriose. Il Giudice, il grande Rickman, ad esempio, ha un disperato desiderio di essere finalmente riamato: se non dalla donna, almeno dalla di lei figlia. E tra lui, Sweeney e il rasoio s’intreccia una diversione musical-canora, sospesa tra la fascinazione ipnotica e la pura dimensione erotica, davvero entusiasmante. Così la complice, personaggio non passivo, è disperatamente, vanamente innamorata di Johnny Depp.  

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