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Katyn

KATYN di ANDRZEJ WAJDA POL, 07.

All’indomani dell’Accordo Ribbentrop-Molotov, nell’aprile del 40, nella Polonia occupata dai sovietici viene consumata una strage di tredicimila ufficiali dell’esercito polacco. Essa fu a lungo attribuita ai Nazisti. L’ottantunenne maestro del cinema polacco ha creato un film di grande complessità tematica e di sconvolgente pathos. L’episodio di Katyn, nonostante tutte le manovre per tacitarlo da parte dei Servizi sovietici, è una cartina al tornasole dell’attuale identità nazionale polacca. C’è la  prima sequenza del film che rende chiara questa metafora. Su un ponte si vedono venire due file di sfollati: l’una in fuga dai nazisti e l’altra dei sovietici; ovvero il peggio delle aggressività imperialistiche che, con motivazioni diverse nel tempo,  si sono rivalse sulla Polonia.  I Sovietici avevano ben chiaro che sarebbero restati, una volta cacciati i nazisti, e volevano eliminare preventivamente quelle élites che certamente sarebbero state loro contrarie. Il cinismo di Stalin e del NKVD (il KGB di allora) rese questa una “doppia tragedia”: sia per il dato impressionante in sé; ma perché essa fu avvolta nella menzogna: fu postdatata all’agosto del 41, quando i nazisti avevano già occupato l’intera Polonia e, finchè i sovietici sono stati al potere, era proibito già solo parlarne, proprio perché la verità era insopprimibile. Il regista ha fatto di Katyn una vicenda corale, dall’ampio, classico fluire,  in cui la cattiveria dei sovietici era esattamente della stessa qualità, e speculare a quella di nazisti. La sua non è stata una ricostruzione unilaterale; e c’è anche un chiaro riferimento all’ignavia del governo attendista contro i nazisti del reazionario Col. Koc. Perciò non è un film che si presta a opera di disinformazione o di mistificazione politica, come era nei progetti dei tremendi gemelli ultraconseravtori Kaczynski, prima al governo del paese,  che l’avevano fortemente caldeggiato. La complessità della situazione polacca è ritratta con una sceneggiatura che dà con chiarezza le motivazioni dell’atteggiarsi dei polacchi, soprattutto all’interno dei ceti culturalmente dominanti, rispetto a tutti e due i nemici invasori. Forse manca il pensiero del polacco comune, dei ceti meno abbienti: o forse è solo quello ritratto nell’imboscato che poi si trova ad essere Prefetto col nuovo ordine sovietico? D’altronde, delle due sorelle dell’aviatore, l’una, intenzionata a mantenerne la memoria, si ritrova in prigione, l’altra è connivente col regime.  Ma il film trae la sua forza narrativamente unificatrice   proprio dal fatto che assume il punto di vista di una soggettività condivisa: quelle delle vittime da far risorgere dall’oblio e onorare .

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